Non c’è reato di collusione tra l’imputato e il contribuente se intendono raggiungere un fine diverso

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La suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Avv. Antonio La Scala, del foro di Bari, difensore di un militare della guardia di finanza accusato di aver chiesto una somma di denaro ad un contribuente facendogli credere che tale importo servisse per corrisponderla direttamente all’agenzia delle entrate a titolo di concordato per definire la propria pendenza con il Fisco, contrariamente a quanto realmente accaduto, poiché il militare tratteneva indebitamente per sè stesso l’importo di cui sopra.

La Corte, infatti, ha annullato, perché il fatto non sussiste, la condanna emessa dalla Corte Militare di Appello di Roma nei confronti del militare della Gdf imputato per il reato di collusione ai sensi dell’art.3 della legge 1383/41, atteso che, la vittima, il giorno dopo la proposta del finanziere, si è recata ai carabinieri per sporgere denuncia nei confronti del militare stesso, ritenendosi destinatario di un tentativo di truffa.

Secondo la prospettazione difensiva avanzata dall’ Avv. La Scala, e pienamente condivisa dalla Corte di Cassazione,è stata proprio la presentazione della denuncia a rappresentare la linea di demarcazione tra un accordo collusivo e/o corruttivo(difatti non dimostrato)e, tutt’al più, il meno grave reato di tentata truffa.

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