Uno dei principi inderogabili di ogni sistema fiscale è la neutralità. È un modo per dire che ogni singolo tributo o ogni sistema fiscale non deve influenzare le decisioni e i comportamenti dei contribuenti (siano essi persone fisiche o persone giuridiche) e, dunque, di conseguenza non deve essere tale da indurre a modificare le loro scelte economiche e produttive. La riforma fiscale in procinto di essere varata deve tenere presente questo principio elementare. Lo farà? Si è creduto di attuare questo principio assoggettando tutti i contribuenti con lo stesso reddito alla stessa aliquota e quindi allo stesso livello di imposizione. Che si tratti di un dipendente del ministero o un contadino della Gallura se entrambi guadagnano la stessa cifra devono pagare la stessa imposta calcolata su quel reddito.
Principio che però non è rispettato quasi mai: l’imprenditore o il professionista deve calcolare e dichiarare il suo reddito (subendo, per effettuare il calcolo e la dichiarazione, costi e rischi di errore) mentre il dipendente statale ha una vita molto più semplificata e costi azzerati. Perché i costi e i rischi imposti dalla legislazione fiscale non sono neutrali cioè nulli per certuni ed elevati per altri?
Inoltre è noto fin dai primi anni di università che le imprese che operano in regime di libera concorrenza (cioè le piccole) vedono i propri redditi tendere allo zero proprio per effetto della concorrenza stessa mentre il reddito statale è certo per definizione. Cosa percettibile in ogni settore “maturo”; cioè chi produce o commercia assieme a tanti altri colleghi agguerriti e pronti a toglierti il cliente ad ogni passo falso opera in un settore “maturo”. Quindi uno stipendio certo non è “uguale” ad uno incerto anche se è dello stesso importo.
Peraltro il reddito incerto impone al suo percettore la costituzione di fondi di riserva o forme di garanzia per superare i momenti difficili; fondi che vanno ad assottigliare il reddito che non può essere interamente nella disponibilità del percettore come accade per il dipendente; specie in considerazione del fatto che le banche in quei momenti di difficoltà dell’impresa certamente scappano a gambe levate dall’idea di sostenere l’imprenditore operante in un settore “maturo”. Infatti le banche sanno che la incertezza è totale: è dipesa dalle avversità climatiche, commerciali, insolvenze sui crediti, incertezze finanziarie, quelle legate alla salute dell’imprenditore o professionista, o suoi parenti stretti, o gli stessi accertamenti fiscali. Cioè la somma incertezza del reddito del piccolo imprenditore confrontata con la certezza e puntualità dello stipendio rende i due redditi -pur apparentemente uguali- assolutamente non paragonabili e non certamente uguali.
Cioè possiamo dire senza tema di smentite che per rispettare il principio della neutralità e quindi equità della imposizione, le piccole imprese devono avere un trattamento TOTALMENTE diverso dai dipendenti pubblici e privati con lo stesso reddito. E questo è nell’interesse del livello della occupazione, della crescita del Pil, delle grandi imprese che hanno in queste categorie i migliori clienti, delle banche che prestano loro i soldi, e quindi del livello del gettito. Ed è dovere dello Stato garantire neutralità sostanziale tra contribuenti e non favorire certuni a danno di certi altri.
Tutto va fatto tranne che perseguitare queste categorie di operatori della nostra economia.
Ci chiediamo se il governo (non solo l’attuale) sia attrezzato della giusta sensibilità e cultura per capire cose così evidenti ma così lontane dalla mente degli “esperti” dei Ministeri e dagli addetti alle rilevazioni statistiche. Inoltre le campagne denigratorie contro le piccole imprese intentate nei decenni passati dai rappresentanti della grande impresa raggruppati nelle associazioni datoriali maggiormente in grado di influenzare la opinione pubblica nonché dai loro alleati di sinistra non hanno mai trovato nella destra e nelle organizzazioni datoriali delle piccole imprese le competenze sufficienti per ricacciare in gola dei mandanti le accuse di evasione specie alla luce della evidente elusione posta in essere dalle multinazionali oltre alla traslazione sistematica delle imposte a carico dei consumatori o, ancora peggio, la percezione dei famigerati “aiuti” pubblici espliciti o nascosti percepiti dalle grandi corporation grazie alla attività delle loro lobby.
Questo asse che unisce grandi imprese, partiti, media – che sostengono l’attuale assetto – ed “esperti” al loro soldo ha messo nell’angolo le imprese minori (che nel sud e nelle aree meno favorite sono la totalità) cagionando la cronicizzazione dell’esodo delle migliori menti dalle zone periferiche a tutto vantaggio della malavita locale e di importazione..
CANIO TRIONE